La sindrome di Achille è la condizione di chi è riconosciuto come persona realizzata e di successo, ma dentro di sé cova insicurezza e l’incapacità di riconoscersi le proprie qualità. È tipica delle persone a cui viene riconosciuto un valore, per questo motivo si può facilmente riscontrare nei contesti produttivi, specialmente in quelle figure che rivestono ruoli di comando (dirigenti) o di elevata specializzazione (professionisti e tecnici di settore).
La sindrome di Achille nei contesti di lavoro
L’autrice che ha definito la sindrome, Petruska Clarkson, è partita da un’analisi dell’attuale scenario socio-economico per spiegarci come essa possa trovare nel mondo aziendale un ottimo habitat in cui esprimersi. La crescente perdita di stabilità e garanzie (i piani strategici delle aziende si limitano a periodi sempre più brevi) e i continui cambiamenti con cui i lavoratori devono misurarsi (es. tecnologici, di processo, ecc.) possono infatti rinforzare il bisogno di sentirsi sempre pronti per reagire, di manifestare competenze adeguate a sostenere qualunque tipo di situazione.
I contesti aziendali tendono a rafforzare la sindrome: ci si aspetta che il manager o il professionista sia pronto a sostenere qualunque cambiamento e nuovo input, ed ecco che lo pseudocompetente finge di capire. “Parlare di cose che non si conoscono o ammettere di avere un punto debole è un tabù. Farlo dimostra che siete degli incompetenti, e così nessuno ne parla apertamente. Se cercate di ottenere aiuto, vi sentite intrappolati nella finzione e logorati dall’ansia dell’essere scoperti” (Clarkson, p. 122).
Anche il possesso di informazioni è fondamentale: si dà per scontato che il manager o il professionista siano sempre aggiornati e informati su tutto. La vergogna li spinge a mentire piuttosto che ammettere di non conoscere una decisione presa dai piani superiori o l’ultimo ritrovato scientifico del proprio settore.
Insomma è come se ci fosse una regola implicita per cui chi ricopre un ruolo importante debba essere in grado di trasmettere la propria competenza anche quando questa non c’è. L’abilità di simulare sarebbe addirittura una capacità ricercata fin dalle prime fasi di selezione di un manager, come se ciò che importa davvero non fosse l’essere competenti, ma il riuscire a manifestarlo e risultare convincenti.
Secondo Clarkson, alcune aziende in cui vige un clima competitivo farebbero della paura della vergogna un vero e proprio strumento manageriale: un mezzo per esercitare potere e controllo sul proprio personale, e per motivarlo ad una maggiore efficienza. A tal proposito è bene sottolineare come l’effetto della dinamica controllo (dell’azienda)– timore (del dipendente) non sia mai veramente produttivo sul lungo termine.
Il povero Achille, in un contesto di questo tipo, non può che sentirsi trappola di un circolo vizioso e permanere in una situazione in cui il suo disagio viene rinnovato e rafforzato continuamente dal contesto esterno.
Cosa fare per uscire dalla sindrome di Achille?
Affrontare la sindrome di Achille significa per prima cosa ricercare un supporto esterno, qualcuno con cui parlare della propria vergogna senza la paura di non essere accettati. È dunque necessario rivolgersi ad un professionista in grado di accogliere la difficoltà e accompagnare la persona lungo un percorso di ricostruzione del senso di sicurezza e fiducia verso di sé.
Un percorso di coaching può essere un primo strumento per aiutare la persona a prendere consapevolezza della sindrome per muoversi con maggiore sicurezza, ma per avviare un cambiamento radicale e duraturo nel tempo (fermo restando che non esistono ricette valide per tutti e che ogni caso va valutato a sé) ritengo che un percorso di psicoterapia sia la soluzione più efficace.
Chi si riconosce nella sindrome di Achille ha bisogno di affondare le mani in quel groviglio di esperienze che lo ha portato a maturare questa condizione; è un percorso che richiede tempi lunghi e la possibilità di affrontare aspetti dolorosi di sé. Ma è anche un investimento che porterà frutti e benefici nel tempo.
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Bibliografia
“Sconfiggi il nemico che è in te. Vincere la segreta paura di fallire” di Petruska Clarkson, ed. Oscar Saggi Mondadori