Come si diventa lavoratori autonomi? Come si fa a lavorare in proprio? Sono domande che sento spesso nella mia attività di consulente di carriera.
Lavoratori dipendenti stanchi, stressati, che si sentono a disagio o che soffrono i margini di azione ristretti, spesso immaginano nel lavoro autonomo una soluzione per rendere la loro vita più leggera.
La sensazione è quella di poter spiccare il volo, rompere le catene che bloccano la crescita professionale. Ma è una scelta da ponderare, considerando anche i rischi che questo cambiamento implica.
Trasformare il sogno in una visione
In un precedente articolo ho parlato della differenza fra sogno e visione: un sogno è una speranza, una possibilità sulla quale fantastichiamo. Una visione è un’idea che prende forma nel concreto, che diventa tangibile e si definisce in un traguardo da raggiungere. Una visione si può tradurre in un business plan, un documento che descrive il progetto in termini qualitativi e quantitativi e che permette di stimarne la sostenibilità.
Insomma, una visione è tutto ciò che è necessario per ancorare alla realtà una fantasia. Ma oltre alla visione e al business plan occorrono anche dei presupposti personali per sostenere la strada dell’autonomia. Cosa chiedersi, dunque, prima di immaginare questo scenario? Vediamolo in 5 domande.
Domanda 1: qual è il mio obiettivo?
Come mai vuoi intraprendere un’avventura autonoma? Quali sono le motivazioni? Cosa immagini che accadrà quando sarai in un regime di piena libertà di azione? Cosa guadagnerai e cosa perderai?
Spesso sento persone che fantasticano sul lavorare meno, ma mediamente chi avvia un’attività in proprio lavora di più. Specialmente all’inizio, quando è necessario promuoversi, farsi conoscere, è difficile che il lavoro scenda nella scala delle priorità. Più probabile che sia al primo posto.
Altri mirano all’autonomia totale e al non avere persone che prendono decisioni al loro posto. Beh, non voglio scoraggiare nessuno, ma anche chi è autonomo viene indirizzato nelle proprie scelte. Sono i clienti, con le loro richieste e i loro bisogni, a dettare le regole. È anche questo un rispondere a qualcun altro, anche se in modo diverso da come accadrebbe per un lavoratore dipendente. Specialmente all’inizio dell’attività, quando non c’è ancora la possibilità di scegliersi i clienti, è frequente ritrovarsi a dover soddisfare i bisogni degli altri prima che i propri.
Domanda 2: posso assumermi dei rischi?
Da che ho avviato l’attività mi sono trovata di fronte a diversi scenari problematici: la crisi economica del 2008, il terremoto in Emilia del 2012 (in quel periodo il mio cliente più importante era a Mirandola, epicentro del sisma), la pandemia.
Ci sono stati momenti nei quali il mio fatturato è crollato drasticamente per motivi indipendenti dalla mia volontà o dal mio impegno. A seguito del sisma, il cliente di Mirandola ha deciso di interrompere tutti i rapporti di consulenza in corso. Con la pandemia tutti i progetti aziendali si sono arenati per mesi, prima di poterli riprogrammare in modalità on line, a distanza.
È importante sapere che l’uscita dal lavoro dipendente comporta la rinuncia alla maggior parte delle prestazioni assistenziali da parte dello Stato, e di fronte a momenti di crisi occorre potersi sorreggere sulle proprie gambe. Non esistono tutele o, anche se presenti, i sussidi esistenti sono decisamente inferiori a quelli garantiti ai dipendenti. Chi si avvicina alla scelta del lavoro autonomo dovrebbe avere delle risorse o almeno dei punti di riferimento a cui appellarsi, in caso di difficoltà. Specialmente nei primi anni di attività.
Domanda 3: che rapporto ho con l’attività commerciale?
L’attività commerciale, la vendita, sono parte integrante dei compiti di un lavoratore autonomo. Procacciarsi la clientela è necessario, ed è inevitabile. Certo lo si può fare in molti modi, ed è anche vero che, una volta che il tuo nome gira, i clienti arrivano. Me lo ha insegnato il titolare di un’azienda per cui ho lavorato in passato, un imprenditore settantenne con quarant’anni di gestione d’azienda alle spalle. Diceva che all’inizio uno non se lo aspetta, ma poi i clienti iniziano ad arrivare da soli. Aveva ragione. Ma, nonostante ciò, capiterà di dover stilare dei preventivi, di dover sostenere telefonate o presentazioni commerciali, o di incontrare direttamente i clienti e parlare loro in modo persuasivo.
Se non hai mai avuto esperienze di questo genere, potrebbe esserti utile una formazione iniziale sulle tecniche di vendita. Se provi disagio all’idea di contrattare una tariffa, sollecitare un pagamento o rimarcare il valore economico delle tue competenze, potresti poi trovarti in difficoltà.
Domanda 4: so auto-motivarmi?
Nell’attività lavorativa tendi ad aspettare l’input da parte degli altri? Oppure sei la persona che, quando non ha nulla da fare, si sa assegnare da sola nuovi compiti, si porta avanti con il lavoro o studia?
Chi opera in modo autonomo dovrebbe essere in grado di auto-motivarsi, avere il desiderio di tenersi aggiornato, di confrontarsi con altri imprenditori o professionisti. In una parola, dovrebbe avere grinta.
Mi viene in mente Vulvia (il personaggio di Corrado Guzzanti) e il suo documentario sugli “spingitori di cavalieri”: fantomatici soggetti che avrebbero spinto i cavalieri medioevali ad intraprendere le crociate. Ebbene, come non esistono gli spingitori di cavalieri, nemmeno i lavoratori e le lavoratrici autonomi hanno degli “spingitori”. Sapersi motivare è fondamentale.
Domanda 5: vivo meglio la monotonia o la routine?
Di fronte a un nuovo compito senti il piacere della sfida o il timore del nuovo? Un po’ di paura ci può essere, ma per lavorare da autonomi è necessaria una dose di amore per la sfida, per la novità. In primis perché è necessaria per stare al passo con i tempi, e poi perché è la risorsa più utile per affrontare i momenti di cambiamento che potranno capitare.
Se hai bisogno delle tue abitudini e affronti con difficoltà i cambiamenti, forse il lavoro autonomo non è la soluzione migliore.
Se le risposte che ti dai a queste domande non ti sembrano convincenti, pensaci bene. A volte queste fantasie corrispondono più al desiderio di fuggire da un’azienda che non ci piace, che a una sincera propensione per l’autonomia.
Per riflettere sulla tua carriera e sui cambiamenti che desideri, contattami. Valuteremo insieme il tipo di percorso a te più utile e ti supporterò nel formulare un piano di azione per i tuoi progetti.
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