Perché le donne non lasciano il partner violento? Di fronte ai casi di maltrattamenti in famiglia, una delle reazioni più comuni è il chiedersi come mai la vittima si sia allontanata dal marito o dal compagno violento.
La risposta ha a che fare con le conseguenze che la violenza scatena sul piano psicologico. Infatti, il fenomeno del maltrattamento domestico è piuttosto complesso e non può di certo essere ridotto a una relazione di causa effetto.
Se mi picchi, ti lascio
Non funziona così. Il fenomeno della violenza di genere è troppo ampio e radicato per poterlo ridurre a una tendenza degli uomini ad esercitare la forza, insieme a una attitudine delle donne a subire vessazioni. Le forme della violenza sono diverse, come abbiamo visto in un altro articolo, e possono portare le vittime a una tale condizione di debolezza sul piano psicologico, da compromettere le loro capacità di reazione.
In genere le relazioni violente si basano sulla presenza contemporanea di diverse modalità di esercizio della forza (fisica, psicologica, economica) e abbattono pian piano le difese di chi le subisce, portando la persona ad uno stato di impotenza.
Il ciclo della violenza
Torniamo alla domanda: perché le donne non lasciano il marito violento. Ciò che le lega, rendendo loro difficile l’uscita dalla relazione, è il fatto che l’uomo violento sappia alternare comportamenti aggressivi e sadici a momenti di pseudo-vicinanza affettiva.
La letteratura scientifica (specialmente nel lavoro della psicologa statunitense Lenore Walker) definisce questo meccanismo come ciclo della violenza. Semplificando, infatti, possiamo dire che le situazioni di maltrattamento domestico si sviluppano secondo alcuni stadi, che prevedono:
- Il crearsi di un clima di tensione, fatto di conflitti, attacchi verbali, ingiurie, controllo ossessivo della persona. Una serie di atti preliminari che instaurano un’atmosfera di nervosismo e agitazione, sintomatica della possibilità di una crisi successiva.
- L’esercizio di un abuso violento, per cui dal clima conflittuale si passa alla forma più grave di aggressione. Si può trattare di un maltrattamento fisico, una violenza sessuale, la reclusione della donna.
- Dopo che l’escalation della tensione ha trovato compiutezza nell’atto violento, l’uomo inizia un lento processo di riavvicinamento. Si mostra pentito, si scusa, assume comportamenti affettuosi, promette che non ripeterà più quanto accaduto. È soprattutto in questa fase che viene insinuato il senso di colpa, che le donne vengono indotte a mettere in discussione la loro rabbia, a ritirare le denunce, a fare marcia indietro rispetto all’idea di lasciare il soggetto violento.
- Da questa fase di scuse scaturisce un nuovo equilibrio della coppia, che talvolta assume i contorni di una “luna di miele”. Sembra riaprirsi la possibilità di una relazione soddisfacente, si creano le condizioni per ripartire dimenticando il passato. In realtà, nella maggior parte dei casi questo periodo diventa il terreno preliminare ad una nuova fase di tensione.
I tempi di queste diverse fasi possono cambiare da situazione a situazione, e anche assumere contorni sfumati: le scuse possono alternarsi ai comportamenti conflittuali già nel momento della tensione. Ciò che accomuna le diverse storie di maltrattamento familiare è la ciclicità: il continuo susseguirsi di vessazioni e falsi segnali di amore.
Le conseguenze psicologiche per la donna
In questo ciclo, specialmente nel passaggio alla luna di miele alla tensione, si può avere l’impressione che la donna sia un soggetto debole, incapace di gestire una situazione palese. Questa visione però trascura molti elementi importanti, come la dipendenza economica, la paura di conseguenze peggiori, il timore di essere giudicate dal contesto sociale.
C’è poi da considerare la mancanza di risposte certe da parte delle istituzioni. Infatti, sebbene i recenti adeguamenti normativi abbiano migliorato la capacità di intervento in situazioni critiche, ancora oggi gli enti preposti alla tutela di donne e minori possono risultare poco reattivi nel fornire soluzioni.
Inoltre, l’agire stesso della violenza pone la donna in una condizione di confusione, dubbio, rinuncia. Ci sono la sensazione di non poter risolvere una situazione senza vie d’uscita, il senso di paura, l’isolamento sociale (il più delle volte alimentato volutamente dall’uomo violento).
A livello psicologico le ripercussioni sono significative: vergogna, crollo dell’autostima, stati d’ansia, sviluppo di forme depressive, disagi legati alla condizione di stress prolungato, disturbi nel comportamento alimentare. Tutte queste risposte psichiche si possono poi accompagnare a somatizzazioni, abuso di farmaci, alcol o droghe.
È proprio per questo che le vittime di violenza necessitano di un supporto da parte della loro rete sociale, ma soprattutto dei centri antiviolenza e delle istituzioni.
Se ti sei riconosciuta in questo articolo puoi cercare aiuto chiamando il Telefono rosa, che risponde al 1522. Otterrai ascolto e potranno consigliarti su come gestire la situazione. Ti daranno i riferimenti di chi contattare nella tua città per ottenere assistenza, nel rispetto dell’anonimato.
Se senti di avere necessità di un confronto e vuoi valutare un percorso di psicoterapia o di counseling, contattami.
La sera dello scorso 8 marzo ho affrontato questo tema in una diretta Facebook insieme alla Associazione in sé. Puoi ancora vederla: nella diretta abbiamo parlato del rapporto fra gioco d’azzardo compulsivo e violenza di genere, con un approccio divulgativo.
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