Che senso ha l’invidia, e perché proviamo un’emozione così spiacevole? La prima cosa da sapere è che non esistono emozioni del tutto positive o negative. Ad esempio, l’invidia ha un aspetto utile quando ci spinge ad osservare gli altri e a sfidare noi stessi per poterli raggiungere, ma diventa deleteria se smettiamo di godere della nostra vita, perché ci concentriamo solo su ciò che manca.
Perché l’invidia è fastidiosa
L’invidia è un’emozione controversa. Nella cultura occidentale, nessuno vorrebbe ammettere di provarla. Il fatto di essere uno dei sette vizi capitali del cristianesimo, fa sì che l’invidia vada a braccetto col senso di colpa: se invidio qualcuno, mi sento subito colpevole. Perché? Perché l’invidia è peccato. Sarà poi anche perché il pregiudizio popolare vuole che l’invidia porti sfortuna a chi la prova, ma soprattutto a chi è oggetto di questa emozione. Così, essa finisce con l’assumere una veste nefasta.
Se ci distacchiamo da visioni moralistiche per entrare in un contatto profondo con il nostro esistere, ci accorgeremo che l’invidia è semplicemente una delle emozioni di cui siamo dotati.
Invidiare non è peccato
Stiamo andando oltre un precetto della religione più diffusa in Italia. Ma tant’è. Pensare che l’invidia sia una macchia nera sulla nostra coscienza (o sulla nostra anima) non riuscirà né a smorzarla, né a farla sparire.
Eppure, questa influenza è fortemente radicata negli archetipi culturali della nostra società. Se ci pensiamo, nelle fiabe i personaggi invidiosi sono anche cattivi, antipatici, brutti. Mi riferisco alla regina cattiva di Biancaneve, o alle sorellastre brutte e goffe di Cenerentola.
Invidiare è umano!
Quando osserviamo il mondo intorno a noi, inevitabilmente proviamo desiderio o attrazione verso ciò che ci circonda. Quando si verifica una discrepanza tra ciò che desideriamo e ciò che gli altri possiedono o sono, ecco che si presenta questa emozione.
La presunta negatività dell’invidia è dovuta al suo retrogusto di rabbia, di rancore, nei confronti di chi ha ciò che noi non possiamo avere. Tuttavia, non è detto che questo sapore debba necessariamente trasformarsi in una forza distruttrice. Infatti, di fronte all’invidia si aprono più possibilità:
- Nasconderla, facendo finta che non ci sia. Come nel caso della volpe e l’uva, quando la volpe, che vorrebbe l’uva, inizia a criticarla per celare il suo interesse. In questo caso, però, sappiamo che l’invidia rimarrà latente, e si sfogherà in modi che non possiamo conoscere. Ad esempio, incupendoci, perdendo di serenità, o cambiando il modo in cui ci relazioniamo con l’oggetto dell’invidia (es. trattare freddamente la persona, o evitarla);
- Cavalcarne la forza rabbiosa, diventando un problema per chi abbiamo deciso di invidiare, cercando di accaparrarci ciò che possiede, tagliandolo fuori. Mi vengono in mente tante situazioni in azienda in cui l’invidia fra colleghi può degenerare in vere e proprie lotte intestine;
- Lamentarsi, crogiolandosi nella tristezza per ciò che non si ha;
- Trasformarla in una forza generatrice: smettere di covare rancore, ma utilizzare l’energia che ci propone l’invidia come il motore per andare a prenderci ciò che desideriamo, senza fare sgambetti, costruendo il mondo che vogliamo.
Ovviamente è quest’ultima via la più efficace e produttiva, ma presuppone una consapevolezza che non sempre è accessibile. Proprio perché l’invidia è considerata un’emozione “sbagliata”, tendiamo a eluderla, nasconderla agli altri come a noi stessi.
Invidia e autostima
Quando la persona invidiosa ha una scarsa autostima, è più probabile che questa emozione si manifesti nella sua accezione di rancore, frustrazione o lamento. Infatti, chi non è sicuro di sé può più facilmente cadere nel tranello di credere che ciò che ha l’altro sia, per sé, irraggiungibile.
Allora si rende necessario non solo uno sforzo di consapevolezza, ma anche di lavoro su quella rabbia che, inespressa, si tramuta nel vittimismo del “povero/a me”.
Affrontare l’Invidia
Attraverso un percorso di psicoterapia è possibile acquisire consapevolezza delle proprie emozioni, presupposto necessario per poterle rielaborare e trasformare in forze motrici di benessere.
Il primo passo è riconoscere l’emozione e accoglierla, senza condannarla, ma ascoltando il suo messaggio.
Da qui, poi, sarà possibile ricostruire il senso di quella invidia, darle dignità, riconoscersi senza inutili sensi di colpa e muoversi in una direzione di realizzazione personale.
“È nel carattere di pochi uomini onorare senza invidia un amico che ha fatto fortuna” Eschilo
Riconoscere un’emozione, cogliere il messaggio che ci sta dando, decidere quanto spazio concederle sono tutti atti di consapevolezza che si possono potenziare in un percorso di psicoterapia della Gestalt. Contattami per formulare il tuo percorso.