“Tre piani” è l’ultimo di film di Nanni Moretti. È una pellicola molto toccante, dall’incidere lento, inesorabile, che racconta una serie di situazioni tragiche che affliggono gli abitanti di un palazzo. Dal punto di vista psicologico ci concentreremo sul personaggio di Dora, interpretato da Margherita Buy e dal modo in cui affronta il lutto per la perdita del marito.
La trama
Il film è tratto dal romanzo omonimo di Eshkol Nevo, la cui storia è originariamente ambientata a Tel Aviv. Moretti trasloca a Roma il condominio, e ricostruisce qui le tre famiglie. La prima è composta da due giovani genitori di una bimba. La seconda da una coppia di anziani, con una moglie lucida e un marito che sta sviluppando una forma di demenza. Da ultimo, una coppia matura con un figlio ormai adulto. La trama si sviluppa a partire da un incidente stradale e prosegue con una serie di vicende che intrecciano le vite dei protagonisti sull’arco di diversi anni.
Dora e i suoi lutti
“Tre piani” può essere osservato da tanti punti di vista, cogliendo le diverse peculiarità dei personaggi e delle loro storie. Fra i vari soggetti, quello che mi ha colpita di più è stato quello di Dora, interpretato da Margherita Buy.
Dora è una donna matura, composta e piuttosto dipendente dal marito. All’inizio del film la vediamo come una presenza spenta. Il suo ruolo nella famiglia è di interfaccia fra il marito Vittorio, magistrato tutto d’un pezzo, ed il figlio, giovane adulto irrequieto, autore dell’incidente stradale.
Il dramma si insinua nella vita familiare fin dal principio: il figlio, durante l’incidente, è ubriaco e travolge e uccide una donna. Da quel momento in avanti il rapporto fra padre e figlio collassa, perché Vittorio non riesce ad accettare un reato così grave: uccidere una persona in pieno stato di colpa. Questo accadimento, infatti, va contro i valori con cui ha guidato la famiglia e – oltretutto –infanga la sua immagine pubblica di magistrato.
Vittorio finisce con l’allontanare il figlio dalla famiglia e anche da Dora, ponendola davanti a un bivio: o lui o me. Ed è così che i legami si corrodono fino a spezzarsi, lasciando Dora in una solitudine che diventa sempre più grande, nel momento in cui il marito viene a mancare.
La rilettura psicologica
Dora è schiacciata dallo stereotipo di genere: moglie obbediente, presenza silenziosa e grigia, completamente adattata al modello di moralità e riservatezza che ha costruito insieme al marito. La sua autostima è vincolata al rappresentare questo ruolo sociale di moglie e madre. L’allontanamento del figlio è il primo passaggio per una sua perdita di identità.
Quando il marito viene a mancare ha molta difficoltà a ricostruire sé stessa e a trovare un senso alla propria esistenza. Rimane per lungo tempo affezionata al modello costruito con lui. La sua elaborazione del lutto è complicata. La vediamo negare la morte del marito e cercare un contatto con lui, facendo lunghe telefonate alla segreteria telefonica di casa, che ha mantenuto registrata la sua voce.
Dora è chiusa in sé stessa, vive in piena solitudine anche la fase del lutto e probabilmente questo la rende più difficile. Pur se circondata da un contesto sociale, manca di una rete di riferimento e quindi del sostegno di persone che potrebbero aiutarla ad alleviare il dolore.
È solo con il passare del tempo che Dora può assegnare un nuovo senso alla propria esistenza: rabbia e negazione lasciano il posto alla tristezza e alla accettazione della sua nuova condizione. Pian piano rinasce, ritrova una propria identità e aspetti di sé che aveva dimenticato per anni, assorta com’era nel modello di coppia costruito con il marito. In questo senso, Dora assomiglia alla protagonista di Pane e tulipani, di cui ho parlato in un articolo di qualche tempo fa.
Si riapre davvero alla vita quando riesce a liberarsi degli oggetti del marito. L’atto metaforico di svuotare la casa le permette, attraverso uno scherzo del destino degno di una tragedia greca, di recuperare il rapporto con il figlio. L’ultima telefonata al marito è segno della piena accettazione della sua ritrovata esistenza.
Emozioni: tristezza, dolore, solitudine, rabbia
Durante tutto il film le emozioni centrali risultano la rabbia e la tristezza. Sia in Dora che nelle trame che coinvolgono degli altri personaggi osserviamo dolore e solitudine. Sono storie fatte di incomprensioni e di poca capacità di ascolto, che lasciano i protagonisti adulti in una dimensione di autosufficienza forzata. Le occasioni di incontro e di aiuto reciproco sono veramente scarse, per lo più affidate ai soggetti femminili. I personaggi maschili, invece, sembrano tutti condannati a una condizione di perpetuo egoismo. Sono rabbiosi e vivono relazioni interpersonali basate sul cinismo e la sfiducia.
È un film che consiglio di vedere in un momento sereno, magari in compagnia, per riflettere senza sintonizzarsi sulla tristezza e ricadere in un pessimismo senza fine.
Se ti senti come Dora, se stai affrontando un lutto o provi solitudine e vuoi valutare un percorso di psicoterapia o di counseling, contattami.
Se ti affascinano il significato degli oggetti e i motivi per cui può essere difficile riuscire a eliminarli, puoi leggere questo articolo.
“Tre piani” è un film italiano del 2021 diretto da Nanni Moretti.